Esattamente trent'anni fa, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea emetteva una sentenza destinata a diventare lo spartiacque più netto nella storia moderna del calcio. Prima del 15 dicembre 1995, il calcio era un mondo diverso, quasi feudale nei rapporti di lavoro. I club detenevano un potere quasi assoluto sui calciatori: anche alla scadenza del contratto, per trasferirsi in un'altra squadra, era necessario che il nuovo club pagasse un "parametro" o un indennizzo alla vecchia società.
Tutto cambiò grazie alla tenacia di un centrocampista belga di secondo piano, Jean-Marc Bosman. Nel 1990, il suo contratto con l'RFC Liegi scadde. Voleva trasferirsi al Dunkerque, in Francia, ma il Liegi chiese una cifra esorbitante, bloccando il trasferimento e riducendogli lo stipendio. Bosman, sentendosi prigioniero, fece causa. Dopo cinque anni di battaglie legali che gli costarono la carriera, la Corte gli diede ragione, stabilendo due principi rivoluzionari basati sulla libera circolazione dei lavoratori nell'UE.
Primo: la fine dell'indennizzo di fine contratto. Nasceva la figura del "parametro zero" (free agent): un giocatore in scadenza poteva accordarsi liberamente con chiunque, senza che il vecchio club incassasse un centesimo. Secondo: l'abolizione del tetto ai calciatori comunitari nelle competizioni per club. Fino ad allora, vigeva la regola del "3+2" (massimo tre stranieri in campo).
Le conseguenze furono sismiche. Il potere contrattuale si spostò dai club ai giocatori e ai loro agenti, figure che divennero potentissime (l'era dei Raiola iniziò lì). Gli stipendi esplosero, perché i club, risparmiando sui cartellini, potevano offrire ingaggi faraonici per attirare i free agent. Il calcio divenne un mercato globale e deregolamentato, allargando a dismisura la forbice tra i club ricchissimi, capaci di assemblare multinazionali del talento, e tutti gli altri. Il calcio romantico morì quel giorno, per far posto all'industria dell'intrattenimento che conosciamo oggi.
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